La pelle è il nostro primo contatto con il mondo. Quando un bambino nasce ha bisogno di carezze, non solo di essere visto, ma anche toccato. La pelle ci mette in comunicazione con tutto quello che c’è fuori e allo stesso tempo ci protegge da esso. Ci contiene e manifesta quello che avviene dentro di noi. Sulla pelle appare il rossore se siamo imbarazzati, le gocce di sudore se siamo in ansia e il pallore quando stiamo male. Nel mio lavoro di giornalista cinematografica le più belle attrici che ho incontrato non sono quelle con le gambe chilometriche e le forme perfette, ma quelle dalla bella pelle: liscia come seta e luminosa dall’interno. Come se brillassero di luce propria. Non sono tante. La mia pelle è stata per anni un campo di battaglia: sfigurata dall’acne che sfogava tutto il dolore inespresso che avevo dentro. Il male di vivere mi usciva così: non a parole, ma con orrende pustole gialle. Quanta sofferenza e che vergogna, quanti tentativi andati a vuoto finché non ho trovato la dottoressa giusta che è riuscita a vedermi per come stavo davvero e a guarirmi. Le sarò grata per sempre. Oggi guardo le mie vecchie cicatrici con un misto di risentimento e pena per la me stessa di allora. Cerco di volerle bene e di abbracciare quell’antico dolore come una mamma fa con una figlia. Sono diventata la madre di me stessa perché la mia di madre, allora, non mi ha mai portato dal dermatologo. Era il suo modo per esprimere la femminilità ferita: io non mi amo e allora non mi curo nemmeno di te. Dal dermatologo ci sono andata per la prima volta, da sola, quando ero già maggiorenne, negli anni dell’università, e a quel punto ci ho messo anni prima di guarire. Crescendo, ho scoperto di non essere un caso isolato: ho imparato che sulla pelle delle donne si sono sempre combattute le peggiori battaglie. Fin dai tempi di Elena di Troia che, a causa della sua bellezza scatenò una sanguinosa guerra durata anni. Cresciamo con il desiderio di apparire al meglio sommato all’orrido sospetto che la nostra bellezza sia anche una colpa. Se sei molto bella e fai carriera attiri il commento di esserti guadagnata il percorso con metodi poco ortodossi. Se invece bella non sei vieni derisa e denigrata per la scarsa avvenenza. Come sopravvivere all’interno di queste contraddizioni? La società patriarcale impone che le donne siano perennemente curate, profumate e con la pelle rosea e tesa come quella dei neonati purché restino al loro posto come belle statuine. Se invece si fanno avanti sono irritanti, isteriche, puttane… o brutte, grasse, vecchie. Con l’avanzare degli anni la sfida diventa sempre difficile: l’asticella si alza man mano che passa il tempo. Allora se da un lato ci affanniamo a mantenerci il più possibile giovani e fresche, dall’altro dobbiamo anche dotarci di una vera pellaccia dura per sopravvivere in un mondo disegnato (finora) in tutto e per tutto a misura di maschio. Negli anni la scorza si ispessisce, ma non così tanto da farci perdere il desiderio di curarci ed essere femminili. Ho scoperto che vivere appieno la propria femminilità e la propria singolare bellezza è il sistema più rivoluzionario che abbiamo per stare al mondo e per dire: io sono così. E se questo fa sentire qualcuno indifeso, sminuito o sfidato, non è un problema mio. Ringrazio allora di cuore le mie amiche dermatologhe che sono in grado, con la loro cura, sapienza e attenzione, di sanare queste contraddizioni facendoci sentire sempre forti e belle, insieme.

Sara Recordati
Giornalista e scrittrice, Milano