Le emozioni, lo stress, gli affetti sono spesso presenze occulte ma ingombranti nell’ambulatorio del medico, sono talora un noioso rumore di fondo che complica e appesantisce la relazione. Tuttavia se ascoltate possono costituire un’utile bussola che ci orienta verso le decisioni cliniche e terapeutiche. Le emozioni, quando sono di segno negativo possono generare patologia, inducendo una risposta somatica a eventi traumatici acuti o cronici. Inoltre le malattie dermatologiche in particolare se croniche e recidivanti possono generare nel paziente alcune emozioni, sentimenti, reazioni di rifiuto che possono complicare il decorso della patologia.

L’ascolto delle emozioni è parte costitutiva del rapporto medico-paziente e sul versante della comprensione degli intricati rapporti mente-corpo possiamo asserire che sono radicate nella nostra biologia, nei meccanismi dell’omeostasi corporea, nella complessità dei circuiti neuro-immuno- endocrinologici e che la cute è inserita in questo ricco net-work tra soma e psiche.

Dal punto di vista della psicologia evolutiva l’interesse per le emozioni si lega agli aspetti arcaici, primari, pre-verbali della psiche, quando sono le sensazioni e le emozioni a costituire gli organizzatori dell’esperienza psichica e della costruzione del “senso di sé”. Costruzioneche avviene nella relazione parentale, in cui i genitori e i caregiver funzionano da regolatori psico-biologici in una dimensione emotiva. John Bowlby asserisce che il comportamento dell’individuo adulto, nei suoi aspetti cognitivi e operativi è il frutto di processi percettivi e valutativi fortemente intrisi di “amore, odio e ambivalenza, senso di sicurezza, angoscia e lutto; spostamento, scissione e rimozione”.

Gli affetti trovano sostanza nelle relazioni precoci quando il bambino proietta emozioni grezze sul genitore (proto-emozioni somatiche e un primo abbozzo di sentimenti).

e riceve risposte più o meno coerenti con la propria soggettività nascente. Da questi scambi il bambino interiorizza schemi operativi mentali e corporei che andranno a costituire la sua unità psicosomatica, il nucleo della sua identità.

Gli affetti come sistema comunicativo arcaico radicato nella biologia, che evolve attraverso le esperienze sensoriali e la relazione con gli altri, integrandosi in seguito con la memoria e il pensiero e che ritorna prepotentemente nelle situazioni traumatiche e quando il corpo si ammala.

La biologia delle emozioni, inizia ad essere studiata in ambito neurobiologico a partire dalla dicotomia mente-cervello che storicamente vede nei due sistemi un’origine differente.

Res extensa e Res cogitans, di cartesiana memoria, sono i due poli del corpo e dell’ambiente da una parte, dell’anima non fisica dall’altra, in cui si sviluppa il dibattito filosofico da cui muove la neurobiologia moderna. L’interesse per la ricerca sulle emozioni si estende a partire dagli anni ‘30 del ‘900 alla periferia del corpo coinvolgendo il sistema endocrino e il sistema immunitario.

La Sindrome da adattamento generale allo stress SGA venne studiata e elaborata da Hans Selye 1936, sacrificando alla causa centinaia di migliaia di cavie, che venivano sottoposte a stress fisici e psichici. Il ricercatore individuò nell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene lo snodo tra la mente e il corpo aprendo la strada alla moderna psico-neuro-immuno-endocrinologia, che negli anni si è estesa a quasi tutti gli organi compresa la cute. La ricerca si concentra sull’importanza del sistema immunitario nella genesi delle emozioni con lo sviluppo recente dell’immunologia affettiva. Ci sono affinità funzionali e umorali tra sistema nervoso e sistema immunitario, entrambe devono riconoscere il sè dal non sé, conservare un’identità precisa seppure dinamica, entrambe si insinuano tra i differenti organi e apparati del corpo e ne condizionano il funzionamento, entrambe si esprimono attraverso un ricco net-work con attività di feed-back costituendo sistemi dinamici in continuo cambiamento. I due sistemi comunicano sia a livello molecolare che elettrochimico e sono dotati della plasticità che occorre per adattarsi ai cambiamenti esterni e alle condizioni di vita.

A livello centrale sappiamo dalla ricerca neurofisiologica che l’amigdala, i nuclei del setto, i bulbi olfattivi, porzioni della corteccia fronto-orbitaria e somato-sensoriale, porzione dei gangli della base, l’insieme di queste strutture costituisce il Sistema Limbico, sistema che presiede anche all’attivazione e mediazione di funzioni essenziali per la sopravvivenza umana, oltre che alla recezione ed elaborazione delle emozioni e dei sentimenti.

Le emozioni di fondo sono il risultato delle attività regolatrici del corpo nel rapporto sempre mutevole tra omeostasi interna e variazioni dell’ambiente esterno. Il prodotto di questo calderone di interazioni è lo stato del nostro essere, buono cattivo o una via di mezzo tra le 2 cose. Quando qualcuno ci chiede “come ti senti”? noi consultiamo questo nostro stato e rispondiamo di conseguenza.

Le emozioni primarie sono più facili da definire perché hanno un maggior rapporto con la coscienza, le possiamo nominare sono: la paura, la rabbia, il disgusto, la sorpresa, la tristezza, la gioia, le possiamo individuare in culture differenti e anche negli animali, sono emozioni totalmente innate.

Le emozioni sociali comprendono: la compassione, la vergogna, il senso di colpa, l’invidia, la gratitudine, l’ammirazione, l’indignazione, il disprezzo e si realizzano nel contesto famigliare e culturale.

I sentimenti umani percorrono costantemente la traiettoria che va dal piacere al dolore e nelle loro gamme e varietà possono risultare utili o dannosi con connotazioni positive o negative. La paura giustificata può salvarci la vita, se esagerata può degenerare in fobia, la rabbia se ben indirizzata può scoraggiare abusi e avere una funzione di difesa, se esagerata può diventare auto e etero-distruttiva, la tristezza potrebbe essere una richiesta implicita di aiuto e comprensione, se tenace e inconsolabile può diventare tossica.

I sentimenti possono essere considerati come i sensori mentali, sentinelle del corpo per monitorare l’interno dell’organismo, testimoni dei processi vitali colti nel loro svolgimento.

Manipolare le emozioni per il medico può diventare terreno scivoloso. Alcune considerazioni ci possono aiutare nella gestione ed elaborazione dei problemi ad esse connessi, queste riguardano il confine tra emozioni del medico e emozioni del paziente. Conoscersi e cioè sapere quanto siamo permeabili alle emozioni altrui per comportarci di conseguenza, può essere di utile ausilio. Cercare di dare un nome all’emozione che il paziente ci suscita: rabbia, impotenza, noia, confusione, fatica, assenza di emozioni, antipatia, adulazione oppure simpatia, tenerezza, curiosità, attrazione fisica…, può aiutare a capire e modulare l’interazione, a fare chiarezza, a comprendere il tono emotivo della relazione e a comportarci di conseguenza.

Se riusciamo a identificare l’emozione che stiamo vivendo nel corso della visita è più agevole non colludere o contro-reagire con altrettanta: rabbia, impotenza, onnipotenza, confusione, assenza di contatto, di empatia, di comprensione.

Evitare una restituzione diretta delle emozioni dicendo “lei è una persona aggressiva, o confusa o depressa o ansiosa ma piuttosto:”…..mi sembra di capire che lei si senta molto arrabbiata o che abbia smesso di sperare, o….mi sta un po’ confondendo….possiamo mettere ordine?” o se percepiamo una relazione scarna e poco partecipata a livello emotivo possiamo chiedere: ”quali sentimenti le suscita questa malattia?”.

L’esperienza insegna che è utile provare a passare in modo fluido dal corporeo al mentale cercando di integrare i due piani, perché sostare troppo sulle emozioni potrebbe costringerci a maneggiare materiale emotivo a cui non sappiamo dare una progettualità, anche perché abbiamo imparato che l’invio agli specialisti dell’area “psi” è l’atto più difficile da realizzare e non deve essere il nostro obiettivo. Inoltre il passaggio fluido dal piano corporeo a quello mentale orienta il paziente verso un’integrazione, laddove “…. il poter fare esperienza di tale integrazione arricchisce nel tempo il soggetto fornendogli, in continuità con la mente, quelle informazioni che riguardano emozioni fino a quel momento dissociate e accumulate in alcune zone del corpo”.

Una garbata perlustrazione della rete affettiva in cui si colloca il paziente, una breve anamnesi familiare, può aprire a una dimensione narrativa che non solo aiuta a comprendere le emozioni in atto, ma permette anche di mettere le basi per un legame e dunque per una relazione medico-paziente con connotati “affettivi”.

Un‘ultima considerazione riguarda gli obiettivi di una pratica medica al passo con i tempi. La medicina probabilmente sta andando speditamente verso la direzione “del fare” mentre trascura spesso la dimensione “dell’essere”. Sono senza dubbio utilissimi tutti quei mezzi che ci permettono di aiutare il paziente con un atto medico concreto ed efficace: laser, farmaci, strumenti tecnici, scale per misurare il disagio e qualsiasi cosa. Tuttavia dobbiamo evitare che questi utili dispositivi diventino il diaframma che usiamo per allontanarci da quello che spesso sentiamo quando siamo con il paziente: rabbia, impotenza, fragilità, noia, caduta del nostro narcisismo e frustrazione delle nostre capacità professionali.

Perché l’incontro clinico esca dalla noiosa routine e diventi una nuova avventura che ci sveli qualcosa degli altri e di noi stessi, sarà opportuno dunque dare un significato anche alle emozioni.

Mariella Fassino, 
Dermatologa, Torino