Alzi la mano chi, sentendo in televisione o leggendo i giornali, non ha mai pensato, di una persona indagata “Beh, qualcosa avrà pur fatto…”.
Io ho scoperto, vivendolo sulla mia pelle, che non è così e ho imparato la lezione che la vita mi ha voluto impartire con durezza. Mai giudicare, mai sputare sentenze su persone e fatti che non si conoscono. Il rischio per chi non segue questa regola è che poi si debba vergognare per le parole dette o peggio: avere sulla coscienza la morte di un indagato.
Ma, forse, è meglio se vi spiego di cosa parlo. Ecco in breve la vicenda. L’8 maggio 2017 scoppia il presunto scandalo Pasimafi, che coinvolge il primario del dipartimento di Anestesia – Rianimazione e Terapia del Dolore di Parma, numerosi medici dello stesso dipartimento, 14 aziende farmaceutiche, 3 agenzie, 87 persone tra medici, dipendenti di aziende e società varie.
Diciannove persone finiscono agli arresti domiciliari. Il reato di base contestato è corruzione; e poi c’è chi è accusato anche di concussione, peculato, associazione allo scopo di commettere delitti, quali il riciclaggio e chi più ne ha, più ne metta, come dice il famoso proverbio!
Si grida allo scandalo, i telegiornali aprono le loro edizioni con titoli altisonanti, i media impazzano nella stesura di articoli pubblicando nomi, cognomi, stralci di intercettazioni. Per non parlare dei canali social, dove tutti si sentono in diritto/dovere di dire la loro. E ovviamente la sentenza è già emessa: tutti colpevoli.
Ed è così che una persona, e qui parlo di me, che ha fatto dell’etica e del rigore morale il suo stile di vita, così come mi è stato insegnato dai miei genitori, si ritrova dall’oggi al domani travolta in una realtà che non riesce a comprendere, che tenta di sopraffarla ed annientarla.
Ed è in quei momenti che bisogna tirare fuori carattere e artigli e combattere per la propria dignità, per il rispetto che si deve a se stessi, per la tua stessa vita. Le spirali della cosiddetta giustizia tendono a stritolarti e a fiaccarti, nel corpo e nello spirito. Chi se ne importa che la nostra Costituzione, nell’art. 27 comma 2, affermi che sei innocente fino a prova contraria. Non è vero, lo grido con forza. Sei colpevole fino a prova contraria.
E allora hai solo una via d’uscita: raccogliere le tue forze e darti da fare. Ricostruire e ricordare pezzo per pezzo avvenimenti e conversazioni che risalgono ad anni prima e alle quali non avevi dato nessuna importanza. Contestualizzare, puntualizzare, circoscrivere… e poi ascoltare un numero infinito di intercettazioni – perché è su queste che si basa l’accusa. Intercettazioni tagliate ed assemblate per farti dire quello che non hai mai detto o per dare una connotazione completamente diversa ad una frase. Ed ecco che, come per magia, un “bias” di uno studio clinico diventa un “buyers” o, ancora, un “peer reviewer” si trasforma in un pay reviewer. Lascio all’intuito di chi legge i risvolti di queste “sviste”.
E se poi, perché sei una “persona puntigliosa” che vuole capire il perché di tutto questo, ti documenti, leggi, ricerchi e scopri che i promotori di questo scandalo sono mossi da interessi personali, politici, di carriera. Che hanno rivalse verso l’uno o l’altro degli indagati, che hanno voglia di carriera, di visibilità, di fama… cosa fai? Ingoi il rospo e taci oppure decidi che devi fare qualcosa?
Anche se alla fine sei stata assolta perché il fatto non sussiste (come moltissimi altri, a dimostrazione dell’infondatezza delle accuse rivolte), dentro di te sai che non ti puoi voltare dall’altra parte. Io sono stata “fortunata”; ho avuto sempre accanto a me la mia famiglia e gli amici; ho potuto far fronte alle spese legali, di perizia tecnica, per l’acquisto dei dischetti dell’intercettazioni e quant’altro – oltre 158.000€ (ndr), che chi ha sbagliato non mi rifonderà mai.
Ho un carattere forte, sono decisa, caparbia, rasento la testardaggine. Ma non è così per tutti, c’è chi è stato lasciato solo, chi non ha trovato la forza di combattere questa guerra impari, chi si è fatto prendere dallo sconforto. Chi non ha retto la gogna mediatica e ha deciso di porre fine ai suoi giorni.
Per me, per tutti loro, per i seicento “errori giudiziari” che ogni anno colpiscono altrettante persone in Italia si deve fare qualcosa. Denunciare un sistema che non funziona, che distrugge vite e carriere. Eh già, i pm che creano falsi scandali non sono perseguibili, non hanno responsabilità penale.
Io l’ho fatto attraverso la scrittura di un libro “Il raglio dell’asino” (www.ilragliodellasino.it), con il quale lancio un grido di allarme per svegliare le coscienze di tutti affinchè si arrivi ad una riforma sostanziale del nostro sistema giudiziario e si ponga fine alla malagiustizia italiana.
Non ci si può voltare dall’altra parte e far finta di non vedere. Non dobbiamo mai dimenticare che gli altri siamo noi.
Marta Gentili
Biologa Milano