Il genere umano, fin dai tempi più antichi, ha sempre riconosciuto al cuore un duplice significato: quello di organo vitale e quello di sede di sentimenti ed emozioni, perciò una concezione sia organica che filosofico-spirituale. Ancora oggi il cuore, in passato sede della mente e poi dell’amore, è universalmente considerato simbolo di emotività, spiritualità e moralità dell’uomo.
Come organo, per molti secoli fino al Rinascimento, è stato piuttosto ignorato, trascurato o non ben conosciuto dalle diverse civiltà che si sono succedute, nonostante sia stato invece forse il primo fra tutti gli organi interni a suscitare l’attenzione dei popoli primitivi. D’altro canto la palpitazione cardiaca percepita col palmo della mano sulla parete toracica, la concitazione cardiaca rilevata durante intensi sforzi fisici o gravi turbe emozionali ed ancor più il subitaneo arresto della vita per improvvisa e abbondante fuoriuscita a fiotti di sangue dal cuore ferito, sono state verosimilmente le prime nozioni che hanno catturato l’attenzione dell’uomo preistorico. Tutto ciò ha sostenuto la credenza che questo organo rappresentasse l’essenza della vita e la sede della felicità umana. Anche alcune incisioni rupestri ritrovate in Francia e in Spagna mostrano già in epoca preistorica sorprendenti descrizioni topografiche del cuore in bisonti o mammuth.
Troviamo testimonianze di queste primordiali conoscenze anche nelle antiche culture mesopotamica, indiana, cinese, egizia, ebraica etc. ed ancor più significativamente in quella greco-romana.
Gli assiro-babilonesi consideravano il cuore: «organo essenziale alla vita e sede dell’intelligenza», per cui ogni turbamento psichico era ricollegato ad una presunta alterazione cardiaca.
Per gli antichi cinesi la salute e il benessere erano legati al perfetto equilibrio fra caldo e freddo e la malattia era considerata una conseguenza di uno squilibrio della circolazione, perciò le dedicavano massima attenzione fino a rilevare oltre duecento tipi di pulsazioni.
Il complesso sapere egizio, oltre a specifici geroglifici creati per raffigurare il cuore, lo definivano come entità anatomo-fisiologica «quello che non si ferma» e come entità spirituale «sede della vita e dei desideri».
I grandi esponenti della cultura greca quali Omero, Eschilo, Euripide, Teocrito e molti altri consideravano il cuore «come sede delle passioni e come sorgente dell’amore» e la divina Saffo, riferendosi al suo amato, cantava persino «questo mi fa scoppiare il cuore in petto».
La grande cultura romana esaltava l’amore anche fisico: Catullo (84-54 a.C.) decantava il rito del bacio nel Vivamus mea Lesbia, Orazio (65-8 a.C.) considerava il cuore sede dell’animo e della mente e Ovidio (43 a.C.-17 d.C.) nell’ Ars Amatoria dispensava audaci consigli di seduzione. Gli storici della Medicina riferiscono che la denominazione «cuore» possa essere stata suggerita dalla similitudine dell’organo con i semi di silfio, pianta oggi scomparsa e che veniva impiegata dagli antichi anche come antifecondativo. O addirittura che il nome possa derivare da una vaga somiglianza fra la silhouette del cuore e il monte di Venere. Già queste due bizzarre immagini molto fantasiose sono indicative delle diverse interpretazioni che questo organo ha sempre assunto nell’immaginario collettivo di molte popolazioni nel corso dei secoli.
Assai sfumata e sibillina è la nascita del rapporto fra il cuore come organo e il sentimento dell’amore, da sempre osannato con diversi accenti dai molti e grandi letterati del passato che sarebbe qui impossibile citare esaustivamente. Particolarmente significativo è senz’altro il contributo di alcuni celebri poeti dell’alto Medioevo: Guido Guinizzelli (1230-1276) con il suo Dolce stil novo, Francesco Petrarca (1304-1374) che, ispirato dalla sua Laura, affermava «al cor gentil rempaira sempre amore», Dante Alighieri (1265-1321) che narrava di come Beatrice si nutrisse del suo cuore e Boccaccio (1313-1375) che nel Decameron racconta di una donna costretta dal marito a mangiare il cuore del suo amante.
E agli albori del Settecento ancora la figura di un cuore con la relativa scritta Amor Dei è stata scelta come stemma per il primo ospedale dermatologico del mondo, l’Ospedale di Santa Maria e San Gallicano a Roma.
Dal punto di vista scientifico, certamente per secoli è prevalsa una visione astratta del cuore con una serie di fantasiose teorie mescolate a credenze filosofiche e teurgiche senza alcuna prova sperimentale, sino a quando il medico inglese Harvey William (1578-1657) per primo ha scoperto e descritto accuratamente il sistema cardio-circolatorio, affermando che «il cuore è il principio della vita, come il sole lo è del microcosmo». Un’interpretazione della fondamentale importanza del cuore che non può essere quindi isolato dalle altre strutture corporee.
Ciò ha dato avvio al complesso e non ancora concluso processo di indagine anatomo-fisiologica sul cuore, raggiungendo le più moderne e innovative indagini strumentali e strategie terapeutiche: cardioversioni elettriche, pacemaker, bypass, cardiologia interventistica, circolazione extracorporea etc.
Nonostante ciò, il cuore resta di certo un emblema di vita e d’amore, come è brillantemente rappresentato dalle suggestive parole del poeta tedesco Heinrich Heine (1797-1856) che, fra Romanticismo e Realismo, affermava: «il cuore è più grande di tutte le piramidi, dell’Himalaia, di tutte le foreste e i mari è il cuore umano…è più bello del sole e della luna e di tutte le stelle, più radioso e fiorente…infinito nel suo amore, infinito come la divinità, è la stessa divinità».

Luigi Valenzano
Dermatologo, Roma