PREVENZIONE DELL’ALOPECIA INDOTTA DA CHEMIOTERAPIA (CIA)

L’alopecia indotta da chemioterapia rappresenta uno degli aspetti più drammatici per i pazienti oncologici, influenzando negativamente l’immagine del corpo, l’autostima, la sessualità fino a indurre l’8% dei pazienti di entrambi i sessi a rifiutare il trattamento chemioterapico pur di non perdere i capelli. La chemioterapia, oltre ad eliminare le cellule tumorali, può danneggiare le cellule sane in rapida proliferazione, compresi i cheratinociti del follicolo pilifero provocando un sostanziale diradamento o perdita dei capelli definita “alopecia indotta da chemioterapia (CIA)”. Nonostante il grave impatto negativo su un grande numero di pazienti (65%) le opzioni preventive e terapeutiche per la CIA sono limitate. Ad oggi, solo un approccio, ovvero il raffreddamento del cuoio capelluto (scalp cooling) è stato approvato dalla FDA (US Food and Drug Administration) nel 2015 per prevenire la CIA. Sono necessari studi basati sull’evidenza per sviluppare e validare metodi per prevenire la caduta dei capelli e/o accelerare la ricrescita nei pazienti sottoposti a chemioterapia migliorando la qualità della vita, la compliance e di conseguenza l’esito del trattamento della neoplasia.
È chiaro ormai come sia necessaria un’evoluzione del concetto di “curare” verso quello di “prendersi cura” focalizzando la terapia non solo sulla malattia, ma anche sul miglioramento della qualità della vita correlata alla salute (HRQoL). Un nuovo Hair-QoL aggiunge una nuova dimensione alle attuali misure di valutazione del livello di disagio (lieve, moderato, grave) nella scala degli eventi avversi dell’alopecia da chemioterapia, influenzando anche in modo determinante la prognosi.
Risulta quindi evidente come l’approccio multidisciplinare sia decisamente più efficace mettendo il paziente al centro della terapia nella nuova concezione di medicina personalizzata con lo studio del metabolismo dei farmaci, per ogni singolo paziente, individuando il dosaggio terapeutico ottimale, minimizzando la tossicità con la massima efficacia.
All’oncodermatologo è dunque affidata l’accurata valutazione specialistica della cute e degli annessi sia prima dell’inizio della terapia oncologica che durante il suo svolgimento e anche successivamente per poter valutare e prevenire la comparsa di eventi avversi a lungo termine, come ad esempio l’alopecia indotta da chemioterapici.

Nel corso degli anni i capelli hanno rappresentato un simbolo sociale, culturale e politico. L’acconciatura di una persona può dimostrare età, genere, classe, occupazione, orientamento religioso, convinzioni sociali e politiche, può anche riflettere un messaggio personale sul concetto di sè e sulla propria identità. Nella nostra cultura i capelli, nelle donne, sono indice di attrattività, sessualità e femminilità. Per questo motivo la caduta dei capelli ha un valore di visibilità ed è un segnale inequivocabile di una patologia che altrimenti sarebbe rimasta celata determinando un’alterazione del comportamento sociale e un rischio più elevato di depressione e ansia. Essendo un segno palesato della malattia, la visibilità dell’alopecia rende difficile per i pazienti mantenere privato il proprio stato di malattia, il momento in cui l’alopecia diventa evidente sancisce il riconoscimento pubblico del trattamento anti-tumorale del paziente.

Attualmente non sono disponibili linee guida univoche per la prevenzione e la terapia dell’alopecia in corso di chemioterapia. Esistono diversi studi e review che riportano l’utilizzo di svariati approcci terapeutici, ma spesso il razionale è poco chiaro e i risultati deludenti.
Gli interventi includono da un lato metodi atti a prevenire il danno tossico da chemioterapici (deplezione delle cellule staminali dei cheratinociti tramite apoptosi, danno al DNA e transizione epitelio-mesenchimale) e dall’altro agenti topici per stimolare la ricrescita dei capelli promuovendo l’attività del follicolo (T.C. Wikramanayake, N.I. Haberland, A. Akhundlu, A.L. Nieves, M. Miteva – 2023.
Tra i primi troviamo ad esempio lo scalp cooling (o ipotermia del cuoio capelluto) che ha come razionale di utilizzo il raffreddamento del cuoio capelluto con conseguente vasocostrizione, da cui deriva una riduzione dell’afflusso del farmaco chemioterapico alla papilla del follicolo pilifero. Questa metodica in termini di prevenzione dell’alopecia ha tassi di risposta che variano dal 50% all’80%. La compliance dei pazienti è alta, in previsione di una minore caduta di capelli, anche se in alcuni casi si può associare emicrania, discomfort, nausea, xerosi e danno da freddo dello scalpo. Tuttavia è bene ricordare che i pazienti con neuropatie periferiche non sono indicati per l’utilizzo del caschetto refrigerato; è anche sconsigliato in pazienti affetti da crioglobulinemia, nelle neoplasie ematologiche e nel caso di rischio di sviluppare metastasi al cuoio capelluto.
Lo scalp cooling è invece raccomandato per i pazienti affetti da tumori solidi candidati a regimi chemioterapici ad alto rischio di sviluppare CIA. È stato anche valutato il ruolo dello scaldamani elettrico sul comfort termico, sensoriale e generale in pazienti con cancro al seno sottoposti a chemioterapia considerando che il raffreddamento del cuoio capelluto portava, a causa di eventi avversi, all’interruzione del trattamento nel 3-13% dei casi.
Per ottenere una protezione efficace il cuoio capelluto deve raggiungere una temperatura sottocutanea (1-2 mm) inferiore a 22°C che equivale ad una temperatura epicutanea di 19°C, anche se maggiori effetti preventivi potrebbero essere ottenuti con temperature vicine a 15°C. Il raffreddamento del cuoio capelluto inizia circa 30 minuti prima dell’inizio della chemioterapia, continua durante l’infusione e deve continuare per un periodo prestabilito dopo la conclusione del trattamento. Il tempo di raffreddamento post infusione dipende dalla farmacocinetica degli agenti chemioterapici e dalle dosi utilizzare, tipicamente 60-180 minuti. La cuffia refrigerante rimane sul cuoio capelluto per altri 5-10 minuti per tornare a temperatura ambiente.

Sebbene l’uso dei sistemi di raffreddamento del cuoio capelluto in pazienti con tumori solidi sottoposti ad alto rischio di sviluppare CIA sia stato autorizzato dalla FDA, non è applicabile a tutti i regimi chemioterapici. Per questi pazienti che non possono utilizzare lo scalp cooling, l’applicazione di agenti topici come calcitriolo topico, KGF (fattore di crescita dei cheratinociti), vasocostrittori topici, ultrasuoni a bassa intensità, minoxidil orale a basso dosaggio e minoxidil topico, analogo della prostaglandina F2a, terapia di fotobiomodulazione (PBMT), plasma ricco di piastrine (PRP), spironolattone e altri agenti possono essere alternative valide.

Lucia Villa
dermatologa, San Benedetto del Tronto